La ceramica
I primi cenni sulla storia delle origini dell'arte ceramista di Caltagirone sono da rintracciare nel XVII secolo, quando lo storico e gesuita Giovanni Chiarandà scrisse, nella sua opera "Piazza, città di Sicilia", che la lavorazione della ceramica, nella città calatina, era antecedente alla venuta degli Arabi ed esercitata da molti vasai.
Fondamento scientifico di questa notizia storica deriva dagli scavi condotti dall'archeologo Paolo Orsi nel territorio di Caltagirone, in particolare nei villaggi di Scala, Pile e S. Ippolito che restituiscono esempi di ceramiche risalenti già al VII millennio a.C.. La ceramica ritrovata, con forme a fiasco o fruttiera, presentavano decorazioni geometriche dipinte in bruno con fondo giallo e rossiccio. Si attesta che l'uso del tornio in Sicilia venne introdotto intorno all'anno 1000 a.C. a seguito dei contatti con il mondo greco.
Nel periodo bizantino erano gli "stazzunari" a produrre vasellame di grossolana fattura, privo di smalto o vernici, lavorato al tornio con striature orizzontali. Saranno gli Arabi nel 827 d.C. a favorire la produzione locale, determinando un rilancio dell'artigianato locale e trasferendovi il loro sapere in materia.
Attraverso le forme, i decori e i colori è possibile procedere a una corretta datazione della ceramica, questi elementi si differenziavano in base al periodo storico di produzione.
Nel periodo medievale si ritrova la produzione di bacini a tese non molto larghe, decorati con manganese. In questo periodo di splendore per la ceramica di Caltagirone erano prediletti gli stemmi degli ordini religiosi o delle famiglie aristocratiche giunte in Sicilia dalla Spagna al seguito degli Aragonesi. Frammento importante per testimoniare l'uso di questo tipo di decorazione plastica è il frammento di un bacile con monogramma gesuita a rilievo conservato a Piazza Armerina, datato al 1568 e attribuito al maestro calatino Iovannello Maurici.
Nel corso del '500 inizia la predilezione delle decorazioni calligrafiche e geometrizzanti in blu su smalto bianco, frutto della moda del mercato dell'epoca.
L'influenza del fascino orientale si afferma in particolar modo nel '600 e trova ampio spazio nelle decorazioni delle porcellane che riprendono anche gli schemi decorativi rinascimentali. E' per rispondere all'esuberanza del cromatismo precedente che a Faenza si codifica lo stile "bianchi compendari", caratterizzata da una maiolica pulita e leggibile con decori essenziali posti al centro dell'oggetto. Contestualmente a Caltagirone la ceramica d'uso sviluppò alcune importanti innovazioni come la creazione della fiasca a tambura, capace di contenere più acqua. La mancanza di innovazione nella decorazione può essere attribuita all'atmosfera che si viveva nella Sicilia orientale a causa di calamità naturali o per cause umane. Il terremoto avrà grandi ripercussioni nella formazione umana e professionale degli artigiani. Nella Sicilia orientale il terremoto del 1693 portò con sé un processo di ricostruzione delle città distrutte nel tentativo di riportare la popolazione alla vita normale. A seguito di questo evento i cannatari, artigiani specializzati nella realizzazione della ceramica d'uso, lavorarono senza tregua, innovando costantemente la loro arte, iniziando a sperimentare nuove forme e continuando a produrre stoviglie di vario genere: quartareddi, ugghialori, cannati, formine per la mostarda e i fangotti grandi piatti che servivano a mille usi. I fratelli Bertolone, ad esempio, realizzarono manufatti scolati a imitazione del marmo. E' in questo periodo storico che le fornaci cittadine iniziarono a produrre pavimenti, vasi con ornati a rilievo e dipinti, acquasantiere, paliotti d'altare, statuette e decorazioni architettoniche per chiese e campanili. Nel contempo si affermarono artisti come i maestri Polizzi, Dragotta, Branciforti, Bertolone, Blandini, Ventimiglia, Capoccia, Di Bartolo.
A causa del crollo dello sviluppo della ceramica, consequenziale al terremoto, gli artigiani calatini, per destare nuovo interesse, iniziarono ad aprirsi alla roba siciliana prodotta principalmente in Campania.
La ceramica riuscì a rifiorire solo nel Settecento quando seguì nuovi indirizzi artistici, essa rappresentò la ricerca del lusso e dell'eleganza in commistione al gusto per l'effimero e per gli ornamenti.
Nella storia della ceramica, l'Ottocento si apre con un'innovazione: inizia lo sviluppo dei prodotti industriali come la terraglia alla maniera inglese e il cemento per i pavimenti. Lo sviluppo di questa pratica si tradusse per i ceramisti in un periodo di decadenza. Solo quelli più abili riuscirono a lavorare come i caltini Giacomo Bongiovanni e suo nipote Giuseppe Vaccaro, noti per le loro statuine di terracotta.
Il presepe artistico
Il Settecento può essere definito il secolo d'oro dei Presepi. Infatti, è tra il XVIII e il XIX secolo che la committenza per la realizzazione di questi manufatti aumenta progressivamente. Periodo storico in cui i Vicerè e i ricchissimi e potentissimi ordini ecclesiastici gareggiavano per la committenza e per il possesso dei Presepi più preziosi e nello stesso tempo fastosi. Presepi che spesso varcavano i confini della Sicilia, raggiungendo le più raffinate corti europee.
Nell'area calatina, verso la fine del '700 e nel secolo successivo, si attesta un gruppo di artisti che presero spunto dalla tradizione figulina, da cui deriva un gruppo di maestri noti come "santari" e "pasturari".
Nell'Ottocento il maggiore esponente dell'arte figurinaria in Sicilia fu il maestro Giacomo Bongiovanni, il quale esprimeva il suo genio artistico plasmando figurine di argilla che trovarono ampia diffusione ovunque. La tecnica del modellato, tecnica tradizionale calatina, era ampiamente usata dall'artista nella sua bottega, aperta già nel lontano 1794. Il maestro tuttavia non disdegnò di abbracciare anche indirizzi classicheggianti, come testimoniato dalla decorazione dell'altare della Chiesa del Crocifisso di Caltagirone.
Attualmente la produzione presepistica, pur guardando sempre all'eredità proveniente dalla grande tradizione calatina, non manca di fondere e dare origine a nuovi generi, frutto di commistioni classiche con intuizioni moderne e interpretazioni personali, rappresentando perciò la summa di diverse scuole e tendenze.